Il suo profumo è lattico, il sapore è dolce, fragrante e piacevolmente aromatico. La robiola di Cocconato è un formaggio PAT a pasta molle prodotto con latte vaccino intero, fermenti lattici, caglio e sale. Di forma piatta e rotonda priva di crosta, è un formaggio fresco di latte vaccino intero e pastorizzato, a pasta molle: rappresenta tutt’ora la tradizione, questa infatti è la robiola che assaporavano i nonni e rallegrava la tavola delle famiglie contadine di Cocconato. La Robiola di Cocconato trae le sue origini dalle tradizioni contadine dei territori collinari astigiani, là dove sono i vigneti a farla da padrone. Come molti altri formaggi, un tempo erano le donne a produrla; la sua produzione semplice e la brevissima stagionatura facevano sì che fosse sempre presente e molto apprezzata sulle tavole degli agricoltori della zona.
Le prime notizie scritte che abbiamo sulla robiola di Cocconato risalgono al 1666. Il 4 Settembre 1666 la “Cesarea maestà signora Imperatrice Margherita d’Austria, piissima, clementissima e sempre augustissima …” nel corso di un suo viaggio in Italia visitò la città di Acqui. In occasione della visita i ducali consorti consegnarono all’Imperatrice un favoloso regalo costituito da un ricchissimo assortimento di vini e cibarie. Nel lungo inventario stilato per l’occasione (e pubblicato da Giuseppe Giorcelli in “Documenti storici del Monferrato”), spiccano due casse, una “…con dentro donzene 28 Rubiole di Coconato”, l’altra “con dentro 22 donzene Rubiole di Coconato” per un totale di ben seicento forme. Gli unici altri formaggi ritenuti degni di comparire al cospetto dell’augusta sovrana furono il “formaggio lodegiano vecchio” (cioè il grana) e il “lodegiano grasso” (probabilmente tipo gorgonzola). Veramente notevole il fatto che il signor Giovanni Vico, gentiluomo casalese, avesse scelto come dono prestigioso le robiole di Cocconato. E’ evidente che la fama, il prestigio e la qualità della Robiola di Cocconato erano decisamente più importanti e stimati rispetto a tutti gli altri latticini prodotti tra Po e appennino Ligure.
Nel 1477 il medico vercellese Pantaleone da Confienza componeva il suo celebre trattato intitolato “Summa lacticinorum” dedicando un intero capitolo al “caseo de la Mora”. “Questi formaggi si chiamano robiole, e sono piccole forme di circa una libbra, rotonde e piuttosto spesse rispetto la loro dimensione; privi di scorza, trasparenti o traslucidi, soprattutto quando ottimi (…) Si ritrovano nei dominii dei marchesi di Monferrato, e di quelli del Carretto e di Ceva Sono formaggi piuttosto preziosi; si conservano eccellenti anche per due anni, ma di un anno sono migliori, e molti amano consumarli dopo sei o otto mesi (…). Si confezionano con il latte ovino, (…) e in effetti sono chiamati ‘robiole’ solo quelle prodotte con questo tipo di latte; alcuni li adulterano mescolandoli con latte di vacca, e addirittura di capra, il che è ancor peggio.”
Da notare come, alla stregua di Pantaleone, nel 1815 il DeCanis, erudito astigiano, parli di robiole confezionate con puro latte di pecora “pregevoli le robbiole, che han miglior gusto d’ogni altra che si compone nei circonvicini paesi, a cagione probabilmente delle qualità delle erbe di cui si nodrisce il bestiame e le pecore specialmente, di cui il territorio è abbondante”, che come quattro secoli avanti risultavano squisite sia consumate fresche che stagionate “vecchie”.
La robiola di Cocconato continuò a mantenere fama immutata e solida valenza commerciale ancora a lungo, ma già agli inizi del Novecento l’ormai definitivo prevalere dell’allevamento bovino su quello ovino causò un radicale cambio di tipologia: l’impiego sempre più diffuso del latte vaccino, che doveva diventare ben presto totalizzante, la trasformò in un formaggio fresco, di sapore semplice, poco adatto alla stagionatura. A partire dal secondo dopoguerra la produzione domestica della robiola si ridusse sempre più vistosamente, rivolgendosi ad un utilizzo puramente famigliare.
La produzione della robiola di Cocconato si è ridotta a tal punto che oggi viene prodotta da un solo produttore, il Caseificio Balzi, che segue la lavorazione tradizionale dal 1965. Per la robiola di Cocconato si segue di una metodologia produttiva particolare per le robiole, l’aggiunta di fermenti lattici. Il latte viene coagulato alla temperatura di 38 °C con caglio, con una durata di coagulazione di circa 30 minuti. La rottura della cagliata si effettua con un primo taglio a croce con la lira. Successivamente, dopo una sosta di 15 minuti, si procede con il secondo taglio a noce. Si estrae la cagliata e la si mette negli stampi. Segue una stufatura per 2-3 ore e la salatura a secco una volta per faccia. La stagionatura è breve, circa 5 giorni a 4 °C, questo tempo è necessario alla Robiola di Cocconato per raggiungere il giusto grado di maturazione e cremosità della pasta. Ma perché i fermenti lattici? Sappiamo bene che il latte deve mantenere una carica batterica utile alle fermentazioni che avvengono nelle varie fasi della vita del formaggio. Partendo dal latte crudo, il casaro può decidere di innestare per aumentare la carica batterica. Nel caso di latte pastorizzato, come nella robiola di Cocconato, c’è la possibilità di innestare sia il lattinnesto, sia il sieroinnesto, oppure fermenti lattici liofilizzati o congelati. Questo perché quando una trasformazione casearia applica la pastorizzazione del latte (o la termizzazione), sicuramente la maggior parte dei batteri “dannosi” viene eliminata, ma con loro anche quelli utili. Il rischio è cioè che il latte sia “troppo pulito”, e per ricreare le condizioni di vitalità di partenza bisogna aggiungere appunto i fermenti, definiti anche “innesti” quando sono naturali. Insomma, senza i microrganismi (naturali e “autoctoni” del latte o aggiunti se il latte è troppo pulito) il formaggio non si fa. Nel caso della robiola di Cocconato, i fermenti aggiunti sono gli stessi che si utilizzavano nell’antica produzione artigianale.
Il risultato di questa lavorazione è un formaggio di forma cilindrica a facce irregolari, del diametro di 15 cm alto circa 2 cm. dal gusto dolce e intenso, molle e cremoso in bocca. I profumi e gli aromi sono decisamente lattici, di latte fresco con sentore di yogurt. Al palato si ritrovano ovviamente i fermenti lattici, che le danno una punta acidula. A livello aromatico, si rileva facilmente, secondo le stagioni, il sapore delle erbe del pascolo.
Piccola nota di colore...Ancora oggi è un formaggio molto apprezzato dai consumatori piemontesi, così apprezzato che il poeta dialettale Nino Costa, nella prima metà del Novecento, gli dedicò alcuni versi che svelano anche la leggenda secondo cui sarebbe un rimedio contro il mal d’amore: «E' piacevole da merenda; è una risorsa per colazione, è ugualmente buona nei campi come al tavolo dei signori; piace ai milionari, la cantano i professori, la consigliano i farmacisti per guarire dai mali d'amore. Voi che vivete di porcherie, di acqua tiepida e di pane masticato lasciate perdere le medicine che vi spediscono all'altro mondo: per gli stomaci delicati, per le teste balzane, fate la cura della robiola, della robiola di Cocconato».
Mamma Balzi e lo chef Max Mariola |
La Cocconato in un bell'aperitivo |
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i portici del centro di Cocconato |
l'unico produttore è il Caseificio Balzi, e lo trovate qui:
www.caseificiobalzi.it