martedì 30 luglio 2019

La seupa à la valepelentse

... si, perchè si parla di formaggi, ma non solo. Volgarmente chiamata zuppa alla valpellinenze, da Valpelline, il paese che ne rivendica la proprietà intellettuale, la seupa è un piatto povero col sapore forte e genuino tipico dei piatti d'altri tempi. Un piatto povero, si, ma con ingredienti che oggi, soprattutto per chi non abita in Val d'Aosta, lo rendono quasi una portata da ristorante stellato.


Siamo in Val d'Aosta, poco lontano da Aosta, a Valpelline, a 964 metri s.l.m. nell'omonima valle, che un tempo era in mano ai signori di Porta Sant'Orso, nel ducato dei Savoia. Qui, nel Sette-Ottocento, si lavorava il rame proveniente da una vicina miniera, ma a farla da padrone è sempre stato l'allevamento, con la conseguente caseificazione e quindi, la Fontina.
Trattandosi di un luogo che nell'ottocento era molto isolato, l'economia locale si basava prevalentemente su cosa era disponibile in zona, quindi uno dei piatti tipici della tradizione era, come come spessa accadeva, un piatto unico, sostanzioso e nutriente, fatto con il pane e il formaggio. Il pane, tradizionalmente di segale, ed il formaggio locale, la Fontina.

La ricetta è semplice e la lista ingredienti corta: pane di segale, burro, fontina DOP e brodo vegetale.
Si procede come per fare una lasagna: si imburra abbondantemente una teglia, e poi via, pane raffermo, fontina, pane, fontina,... alla fine si bagna col brodo e poi si fa gratinare in forno.

La seupa à la valepelentse ha ottenuto la De.Co nel 2007, e questa è la ricetta  che si mangia a Valpelline, ma molto diffusa, anche più dell'originale, è la variante con il cavolo, che viene fatto bollire e si inframezza agli strati di pane e fontina (finendo sempre con la fontina, mi raccomando!!). La differenza principale, oltre che nel gusto ovviamente, è che la seupa originale risulta compatta al punto da essere servita con la forchetta, e non ha praticamente parte liquida, mentre la variante con il cavolo mantiene una consistenza semiliquida che la avvicina di più all'idea di zuppa che ci si può figurare.
Inutile sottolineare che entrambe le versioni sono quello che nella mia idea più si avvicina al comfort food: un cibo per il cuore e per l'animo oltre che per lo stomaco, che ti coccola e ti abbraccia, la cui sola vista, spesso, strappa un enorme sorriso.

Trattandosi quindi di uno dei miei piatti preferiti, si parte alla volta della festa della seupa, quasi in pellegrinaggio. L'organizzazione è perfetta, una macchina ben collaudata: tre tensostrutture sotto cui ripararsi (dal sole e dalla pioggia), una enorme cucina, alla fine di una (altrettanto enorme) coda. In 5 minuti facciamo il biglietto e prendiamo un menu completo composto dalla seupa, il secondo (salsiccette in umido con piselli e contorno a scelta) e un dessert (alla francese, a scelta dolce o formaggio... ovviamente opto per il formaggio!) a 15 euro, e un piatto di seupa ed un piatto freddo composto da affettati valdostani e formaggi (6 euro l'uno). Il dessert (dolce o formaggio) costerebbe 3 euro preso da solo, cosa secondo me degna di nota perchè, come si vede nelle foto, ci sarà stato un etto e mezzo, due di formaggi valdostani. I prezzi li riporto perchè, a mio avviso, la cosa bella di questa manifestazione è la finalità di promuovere il territorio ed i suoi prodotti tipici: conoscendo i prezzi delle materie prime, e valutando le porzioni abbondantissime che ci sono state servite, non c'è altra spiegazione per il rapporto qualità prezzo così sbilanciato se non la promozione locale!!
Inutile dire che dopo la coda (di circa un'ora) per prendere il  nostro vassoio, eravamo affamatissimi e iperstimolati dai profumi e dai piatti che abbiamo visto passare... ma siamo stati ampiamente ricompensati dalla gentilezza dei volontari e dalla qualità del cibo che ci hanno servito.

E' quasi il nostro turno e finalmente vediamo il banco di servizio!

Porzioni abbondanti servite con grande impegno perchè il formaggio... fila!

Tutte le porzioni devono essere uguali... almeno un metro cubo!

La seupa si scioglie in bocca ed è gratificante anche in una calda giornata di luglio, i salumi valdostani (speck, prosciutto crudo di Saint-Marcel, mocetta, salame e budin) ottimi, a stagionatura perfetta, tagliati magistralmente e in porzione abbondantissima, e i formaggi... beh, davvero ottimi. Oltre alla fontina d'alpeggio (più su nella valle c'è il centro di stagionatura della Fontina del consorzio, oltre a tanti altri magazzini di affinatura privati), ci hanno servito la toma di Gressoney e il Bleu d'Aosta.

Questo è quello che avete se scegliete il menù completo a 15 euro e, come me, decidete di prendere il formaggio anzichè la crostata.

Questo vassoio invece ospita una porzione di seupa e il piatto freddo, con salumi e formaggi valdostani (sono porzioni singole!!)

Dopo questa abbondante mangiata, decidiamo di fare un giro su per la valle, che inizia a salire poco dopo Valpelline, e arriviamo a Bionaz, dove facciamo una sosta ufficialmente per compare il pane nero, ma che si rivela una sorpresa perchè il negozio in cui entriamo di fatto è uno spacci aziendale dell'azienda agricola chez Duclos, che produce prodotti lattiero caseari (dal latte allo yogurt, ai formaggi valdostani DOP e non) e vende salumi e affettati locali. Nello specifico, a Bionaz c'è il magazzino di stagionatura, che si apre ai nostri occhi come lo scrigno di un tesoro...

Il magazzino di stagionatura di Chez Duclos a Bionaz

Il banco con la scelta dei formaggi disponibili (la Fontina era a parte, ma c'era, eccome se c'era!)


Volendo fare un'escursione nel vero senso della parola, e non solo un giro in macchina come ho fatto io, volendo ci sono anche un paio di b&b di charme lungo la valle che potrebbero meritare una sosta.

Che dire... se avete tempo e voglia di organizzare una gita last second, giovedì 1 agosto c'è l'ultima data della festa della seupa, altrimenti tenetelo in agenda per l'anno prossimo, perchè merita davvero!



E, se avete voglia di provare la seupa a casa vostra, seguite la ricetta semplicissima che vi ho dato, ma mi raccomando... pane di segale e Fontina DOP!! Con così pochi ingredienti non sono ammesse licenze!

La chiesa di Oyace che guarda la valle giù verso Valpelline, e poi, Aosta.

Il panorama dal sagrato della chiesa di Oyace.


ah si, un'ultima cosa.... Se vi state chiedendo quanti siano i coperti che si fanno alla sagra della seupa, la risposta esatta non la so, ma... guardate qui:

Montagne e montagne di teglie vuote, piene di acqua per "scrostare" il formaggio, anche se c'era così tanto burro che incrostate non erano di certo!





Link esterni:
http://www.comune.valpelline.ao.it/
https://www.chezduclos.com/it


giovedì 9 maggio 2019

La cà nel prà, un caseificio sperduto nel Monferrato.


Un po’ per moda, un po’ per riscoperta delle antiche tradizioni, da qualche tempo i formaggi di capra si stanno guadagnando le luci della ribalta. Non mi riferisco solo alle DOP, che quando si parla di latte caprino si contano sulle dita di una mano sola, ma anche e soprattutto ai formaggi che sono più o meno parte della tradizione ed ai loro derivati di fantasia. Per questo ho iniziato a guardarmi intorno e ho notato che, almeno per quanto riguarda il Monferrato, splendida zona del Piemonte, ci sono diverse realtà di caseifici di nuova apertura creati e gestiti da giovani entusiasti, che hanno scelto di fare della capra il proprio latte di elezione. Mi piacerebbe accompagnarvi in una piccola passeggiata in alcuni di questi caseifici.

Ho pensato di partire dal caseificio più lontano geograficamente da me, perché si trova nella zona della D.O.P. di latte di capra più rappresentativa del Piemonte; non me ne vogliano le altre, ma la robiola di Roccaverano, benchè il disciplinare ammetta anche latte misto, è una robiola prevalentemente a latte di capra (infatti è prevista la versione 100% latte di capra), e con la Formaggella del Luinese rappresentano le uniche 2 D.O.P. italiane con latte 100% capra. Inoltre, nel caso aveste voglia di vedere da vicino questa realtà, la Fiera Carrettesca di Roccaverano si avvicina (29 e 30 giugno) e sarebbe un buon pretesto per visitare queste zone che, oltre che per i formaggi deliziosi, sono molto piacevoli.

Sono quindi andata a visitare la Cà nel Prà, il cui nome significa la Casa nel prato; e una bella casa e un grande prato ci sono davvero, e fanno da biglietto da visita all’azienda che si affaccia sulla strada che da Alessandria corre giù giù verso il mare, fino a Savona. Luca e Simona sono una coppia originaria di Varese che da una decina d’anni si è appassionata al mondo dei formaggi, e nello specifico dei formaggi di capra. Affascinati dall’idea di produrre il formaggio con la filiera più corta possibile, hanno cercato una zona che avesse una DOP di latte di capra, e nel 2012 hanno deciso di trasferirsi a Spigno Monferrato.

Spigno è nella DOP della Robiola Roccaverano, da cui dista pochissimi chilometri, ed è alla fine della Valle Bormida, che è ancora Piemonte, e Monferrato, ma è già un po’ Liguria, perché tutti i giorni, intorno all’ora di pranzo, soffia il marino, il vento che giunge dal mare e porta aria salmastra che caratterizza le erbe che crescono da queste parti, donando profumi e aromi che rendono unico il latte e i formaggi che ne derivano. Spigno è un piccolo paese che come molti altri si è spopolato nel corso dell’ultimo secolo, ma a differenza di altri borghi più o meno anonimi, è caratterizzato da un piccolo e grazioso centro storico, uno dei più ricchi e signorili dell’Alto Monferrato: palazzi nobiliari, portali in arenaria scolpita, logge e ballatoi segnano un vero e proprio percorso della memoria tra strette vie, archivolti, passaggi aerei, facendoci pensare a ciò che, secoli fa, doveva essere. Da qui, attraversando un antico ponte romano, si giunge all’abbazia romanica che oggi è un’abitazione privata, ma che conserva il suo imponente e rigoroso aspetto esterno intatto e fermo nei secoli.

In questo contesto affascinante, Luca e Simona hanno deciso di trasferirsi, pianificando meticolosamente il loro progetto di filiera corta, che chiamano “dal foraggio al formaggio”. Hanno minuziosamente progettato a tavolino la stalla, facendo in modo che il latte venga agitato e spostato il meno possibile: il latte infatti viene portato dalla mungitrice senza l’ausilio di pompe meccaniche, ma solo grazie al sottovuoto, fino al serbatoio refrigerato, e da qui, per caduta, arriva “a richiesta” direttamente nella caldaia. La struttura chimica del latte di capra fa sì che le micelle di grasso siano molto delicate e sensibili alla rottura per via degli scossoni, e per questo è importante che subisca meno shock possibile.
Ma non solo, la stalla, che ospita anche, con accesso separato, il caseificio, è costruita in modo che il fienile sia direttamente collegato ad essa, e quindi i balloni di fieno vengono portati in stalla e distribuiti alla capre con il forcone. In questa azienda non vengono usate macchine agricole di nessun tipo, e i campi di proprietà (e lavorati da un contadino della zona) sono seminati con una miscela di semi studiata appositamente sulla base dei loro valori nutrizionali e sui gusti delle capre, come Latte, Fulvia, Lucciola e Lanterna, che qui amano ad esempio l’erba a foglia larga. La selezione dei foraggi che vengono acquistati viene fatta solo tra alimenti no OGM, il che permette all’azienda di essere iscritta nel bio-Distretto Suol d'Aleramo.

Le capre sono di razza camosciata, esenti CAEV e brucellosi e tutte iscritte all’albo; la stalla può ospitare 120 capi, ma al momento sono poco meno di 100, in quanto i primi 30 capi sono arrivati a fine 2015 e da allora si stanno riproducendo incrementando l’allevamento. Le capre sono animali curiosi e molto giocherelloni, durante la mia visita alla stalla alcuni capretti sono saltati fuori dai recinti (che sono modulari e rimovibili, quindi permettono di pulire agevolmente e di frequente la lettiera, oltre che permettere alle capre di muoversi liberamente e senza spazi inutilizzati) e si sono avvicinati per prendere le coccole e farsi fare una fotografia. Qui in stalla le capre stanno il minimo indispensabile, perché proprio fuori dalle porte della stalla c’è uno dei pascoli di proprietà dove possono scorrazzare liberamente.
Non solo il caseificio, ma anche la stalla, hanno la certificazione HACCP, e da qui escono delle piccole meraviglie: essendo originari di Varese, Luca e Simona, nel caseificio dei loro sogni, avevano in mente di produrre la Formaggella del Luinese D.O.P., cosa che hanno fatto comunque, anche se non sono in zona: producono rispettando il disciplinare della DOP, con l’unica differenza che mettono la formaggella sottovuoto poco dopo la salatura: così facendo continua a stagionare, in modo più controllato ed uniforme, senza formare una vera e propria crosta, e quindi rimane morbida e completamente bianca anche all’esterno. Oltre alla formaggella producono la Robiola di Spigno, che altro non è che la robiola di Roccaverano, (e qui siamo in piena zona D.O.P. anche se Luca non ha ancora deciso se prendere o meno la D.O.P.), fatta secondo il disciplinare e con il loro latte che, tra gli altri, vendono anche al caseificio di Roccaverano. Producono poi la robiola del Bec, solo in stagione, e una toma prodotta con un procedimento molto simile all’Asiago, ma che è, come tutti gli altri formaggi, al 100% capra. Il prodotto più curioso che ho assaggiato è il Mogrontis, per la cui produzione Luca fa una toma di capra simile alla toma Piemonte, che fa stagionare per circa 2 mesi, che poi viene grattugiata e unita ad altri ingredienti (tra cui aglio, peperoncino e pochissimo pomodoro, solo per colorare). Questa ricetta risale all’epoca romana, quando il formaggio, per motivi di conservazione, veniva fatto stagionare fin quasi a seccarlo, e poi lo si consumava grattugiato e ri-ammorbidito impastandolo con olio e spezie. La ricetta una volta si era diffusa al seguito dei soldati in tutto l’impero romano, ma oggi si conserva ormai solo più a Spingo (dove Luca l’ha ricreata partendo da una ricetta di 200 anni fa, l’ultima traccia conosciuta), e sulle Canarie, dove si chiama Almogronte, e trova alcune varianti nelle spezie che vengono aggiunte. Questo è un vero e proprio caso di archeo-gastronomia!

E’ stata una bella esperienza conoscere meglio la realtà di questo angolo del Monferrato che ci regala da molti anni un’eccellenza tra i formaggi di capra. Spero che la prossima tappa del mio viaggio nei caprini monferrini vi farà scoprire ed apprezzare un altro punto di vista su questa “microarea” del Piemonte.

Luca e Simona


la Robiola di Spigno fresca

La Robiola di Spigno di una ventina di giorni

Luca e una delle caprette nate quest'anno